martedì 30 gennaio 2007

fortini: "oshadogan per il dopo Maurizio"

23/01/2007 18.11


«Io, Oshadogan, ribelle e minacciato»

Una telefonata anonima due mesi fa: «Attento, guardati le spalle, rischi di fare un brutta fine».



zoom - galleria All'inizio, furono squilli e clic. Dayo rispondeva alla telefonata, anonima: qualche secondo di vuoto, poi il clic che chiudeva la comunicazione. Un giorno però, al «pronto», una voce maschile gelò Dayo: «Attento a quello che combini, guardati le spalle, rischi di fare una butta fine». L'angoscia delle prime chiamate diventò paura e allora Dayo Oshadogan sporse denuncia contro ignoti per minacce di lesioni e di morte. Quando l'episodio uscì sui giornali di Terni, le telefonate cessarono. Oshadogan, 30 anni, difensore, genovese con papà nigeriano e mamma savonese, gioca nella Ternana. Nell'estate 2005 firmò un contratto biennale, il 18 agosto 2006 fu messo fuori squadra per aver rifiutato di ridursi lo stipendio e di aderire al «progetto» della Ternana. Il 25 agosto l'avvocato di Dayo, Daniele Coco, inoltrò un telegramma alla Ternana, sollecitando l'immediato reintegro del giocatore.

Oshadogan è il simbolo del caso-Ternana, la società acquistata dall'imprenditore Longarini nel 2004 e trascinata dall'anticamera della serie A alla caduta in serie C1. Il caso-Ternana ha molti paradossi: una rosa di 80 giocatori in due stagioni, nazionali come Jimenez e Kharja costretti a ricorrere ai tribunali per far valere le loro ragioni, body guard pagati dal club per impedire ai calciatori fuori rosa di allenarsi. Il Collegio arbitrale, con la sentenza del 25 novembre 2006, ha dato ragione ad Oshadogan, ordinando alla Ternana l'immediato reintegro del calciatore. Il 26 novembre Dayo si è presentato agli allenamenti della prima squadra, ma l'ostruzionismo del club gli ha impedito di lavorare con i «regolari», fino all'episodio dei body guard, due settimane fa. Oshadogan ha trascorso mesi difficili, ma rifiuta il ruolo di vittima «perché ho vissuto episodi ben peggiori. A 23 anni mi diagnosticarono un tumore. Mi è andata bene e da allora il mio rapporto con la vita quotidiana è cambiato. In ogni caso, quello che è accaduto in questi mesi è allucinante. Il calcio è il mio lavoro e mi è stato impedito di poter svolgere la mia professione. Sono stati calpestati i miei diritti e quelli di altri colleghi».

Fonte: Gazzetta dello Sport

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