lunedì 16 aprile 2007

Il rigore più lungo del mondo........

Ispirato dall'ultimo post pubblico delle lettere scritte da Osvaldo Soriano ex promettente calciatore d'altri tempi che dovette smettere troppo presto a causa di un infortunio e che altrettanto prematuramente scomparso oramai 10 anni fà...... ma che rimane il più grande scrittore di calcio di tutti i tempi.... buon divertimento e fatemi sapere se vi piace

Il rigore più lungo del mondo

Il rigore più fantastico di cui io abbia notizia è stato tirato nel1958 in un posto sperduto di Valle de Rìo Negro, una domenicapomeriggio in uno stadio vuoto. Estrella Polar era un circolo con ibiliardi e i tavolini per il gioco delle carte, un ritrovo da ubriachilungo una strada di terra che finiva sulla sponda del fiume. Aveva unasquadra di calcio che partecipava al campionato di Valle perché didomenica non c’era altro da fare e il vento portava con sé la sabbiadelle dune e il polline delle fattorie.I giocatori erano sempre gli stessi, o i fratelli degli stessi. Quandoavevo quindici anni, loro ne avevano trenta e a me sembravanovecchissimi. Dìaz, il portiere, ne aveva quasi quaranta e i capellibianchi che gli ricadevano sulla fronte da indio arcuano. Alla coppapartecipavano sedici squadre e l’Estrella Polar finiva sempre dopo ildecimo posto. Cedo che nel 1957 si fossero piazzati al tredicesimo etornavano a casa cantando, con la maglia rossa ben ripiegata nellaborsa perché era l’unica che avessero. Nel 1958 avevano cominciato avincere per uno a zero con l’Escudo Cileno, un’altra squadramiseranda. Nessuno ci badò. Invece, un mese dopo, quando avevano vintoquattro partite di seguito ed erano in testa al torneo, nei dodicipaesi di Valle si cominciò a parlare di loro.Le vittorie erano state tutte per un solo goal, ma bastavano a farrimanere il Deportivo Belgrano, l’eterno campione, la squadra diPadìn, di Constante Gauna e di Tata Cardiles, al secondo posto, con unpunto di distacco. Si parlava dell’Estrella Polar a scuola,sull’autobus, in piazza, ma nessuno immaginava ancora che alla finedell’autunno avrebbero avuto ventidue punti contro i ventuno deinostri.I campi si riempivano per vederli finalmente perdere. Erano lenti comesomari e pesanti come armadi ma marcavano a uomo e gridavano comemaiali quando non avevano la palla. L’allenatore, uno vestito di nero,con baffetti sottili, un neo sulla fronte e mozzicone spento tra lelabbra, correva lungo la linea laterale e li incitava con una verga divimini quando gli passavano vicino. Il pubblico ci si divertiva e noi,che giocavamo di sabato perché eravamo più piccoli, non riuscivamo aspiegarci come potessero vincere se giocavano così male.Davano e ricevevano colpi con tale lealtà e con tale entusiasmo chedovevano appoggiarsi gli uni agli altri per uscire dal campo mentre lagente li applaudiva per l’uno a zero e porgeva loro bottiglie di vinorinfrescate sotto la terra umida. La sera facevano festa nelpostribolo di Santa Ana e la Gorda Zulema si lamentava perchémangiavano le poche cose che conservava nella ghiacciaia.Erano diventati l’attrazione del paese e a loro tutto era consentito.I vecchi li raccoglievano nei bar quando bevevano troppo ecominciavano ad attaccar briga; i commercianti li omaggiavano diqualche giocattolo e di caramelle per i bambini e al cinema le ragazzeaccettavano carezze al di sopra delle ginocchia. Fuori dal paese,nessuno li prendeva sul serio, neppure quando avevano vinto conl’Atletico San Martìn per due a uno. Nel pieno dell’euforia furonosconfitti come tutti quanti a Barda del Medio e sul finire dell’andatapersero il primo posto quando il Deportivo Belgrano li sistemò consette goal. Tutti credemmo, allora, che la normalità fosse stataristabilita.Ma la domenica dopo vinsero per uno a zero e continuarono nella lorolitania di laboriose, orrende vittorie e arrivarono alla primavera conun solo punto in meno rispetto al campione.L’ultimo scontro divenne storico a causa del rigore. Lo stadio eratutto esaurito e lo erano anche i tetti delle case vicine e il paeseintero aspettava che il Deportivo Belgrano, giocando in casa,replicasse almeno i sette goal dell’andata. Il giorno era fresco eassolato e le mele cominciavano a colorirsi sugli alberi. L’EstrellaPolar aveva portato oltre cinquecento tifosi che presero d’assalto latribuna e i pompieri dovettero tirar fuori gli idranti per farli starecalmi.L’arbitro che fischiò il rigore era Herminio Silva, un epilettico chevendeva biglietti della lotteria nel circolo locale e tutti quanticapirono che si stava giocando il lavoro quando al quarantesimo delsecondo tempo si era ancora sull’uno a uno e non aveva fischiato lamassima punizione, anche se quelli del Deportivo Belgrano entravano atuffo nell’area dell’Estrella Polar e facevano capriole e saltimortali per impressionarli. Sul pareggio la squadra locale eracampione e Herminio Silva voleva conservare il rispetto di sé e nonconcedeva il rigore perché non c’era fallo.Ma al quarantaduesimo rimanemmo tutti a bocca aperta quando lamezz’ala sinistra dell’Estrella Polar infilò una punizione da moltolontano e portò la squadra ospite sul due a uno. Allora sì cheHerminio Silva pensò al suo lavoro e allungò la partita fino a quandoPadìn entrò in area e appena gli si avvicinò un difensore fischiò.Fece uscire dal fischietto un suono stridulo, imponente e indicò ilpunto del rigore. All’epoca, il luogo dell’esecuzione non era indicatocon il dischetto bianco e bisognava contare dodici passi da uomo.Herminio Silva non riuscì nemmeno a raccogliere il pallone perchél’ala destra dell’Estrella Polar, Rivero, detto el Colo, lo stese conun pugno sul naso. La rissa fu così lunga che scese la sera e non cifu modo di sgomberare il campo né di risvegliare Herminio Silva. IlCommissario, con una lanterna accesa, sospese la partita e diedeordine di sparare in aria. Quella sera il comando militare decretò lostato di emergenza, o qualcosa del genere, e fece preparare un trenoper allontanare dal paese tutti quelli che non sembravano del posto.Secondo il tribunale della Lega, che venne riunito il martedìseguente, si dovevano giocare ancora venti secondi a partiredall’esecuzione del calcio di rigore, e quel match privato traConstante Gauna, il cannoniere, e el Gato Dìaz in porta, avrebbe avutoluogo la domenica dopo, ullo stesso campo, a cancelli chiusi. Cosìquel rigore durò una settimana ed è, se nessuno mi dimostra ilcontrario, il più lungo della storia.Mercoledì marinammo la scuola e andammo nel paese vicino a curiosare.Il circolo era chiuso e tutti gli uomini si erano riuniti sul campo,tra le dune. Avevano formato una lunga fila per battere i rigoricontro el Gato Dìaz e l’allenatore con il vestito nero e il neo sullafronte cercava di spiegare loro che quello non era il modo migliore dimettere alla prova il portiere. Alla fine, tutti tirarono il lororigore e el Gato ne parò parecchi perché li battevano con ciabatte escarpe da passeggio. Un soldato bassino, taciturno, che stava in fila,sparò un tiro con la punta dell’anfibio militare che quasi sradica larete. Sul far della sera tornarono in paese, aprirono il circolo e simisero a giocare a carte. Dìaz rimase tuta la sera senza parlare,gettando all’indietro i capelli bianchi e duri finché dopo mangiatos’infilò lo stuzzicadenti in bocca e disse: - Constante li tira adestra.- Sempre, -disse il presidente della squadra.- Ma lui sa che io so.- Allora siamo fottuti.- Sì, ma io so che lui sa, - disse el Gato.- Allora buttati subito a sinistra, - disse uno di quelli che eranoseduti a tavola.- No. Lui sa che io so che lui sa, - disse el Gato Dìaz e si alzò perandare a dormire.- El Gato è sempre più strano, - disse il presidente della squadra nelvederlo uscire pensieroso, camminando piano.Martedì non andò all’allenamento e nemmeno mercoledì. Giovedì, quandolo trovarono che camminava sui binari del treno, parlava da solo e loseguiva un cane dalla coda mozzata.- Lo pari? - gli domandò, ansioso, il garzone del ciclista.- Non lo so. Che cosa cambia, per me? - domandò.- Che ci consacriamo tutti, Gato. Glielo diamo nel culo a quellechecche del Belgrano.- Io mi consacro quando la rubia Ferriera mi dirà che mi vuole bene, -disse e fischiò al cane per tornarsene a casa.Venerdì la rubia Ferreira badava come sempre alla merceria quando ilsindaco entrò con un mazzo di fiori e con un sorriso largo quantoun’anguria aperta.- Questi te li manda el Gato Dìaz e fino a giovedì tu devi dire che èil tuo fidanzato.- Poveretto, - disse la donna con una smorfia e nemmeno li guardò,quei fiori che erano arrivati da Neuquén con l’autobus delle dieci emezza.La sera andarono al cinema insieme. Nell’intervallo, el Gato uscìnell’atrio per fumare e la rubia Ferreira rimase sola nella penombra,con la borsa sulla gonna, a leggere cento volte il programma senzaalzare lo sguardo.Sabato pomeriggio el Gato Dìaz chiese in prestito due biciclette eandarono a fare una passeggiata sulla riva del fiume. Mentre iniziavail pomeriggio cercò di baciarla ma lei girò la faccia e disse cheforse gliel’avrebbe permesso domenica sera, se parava il rigore, alballo.- E io come faccio a saperlo? - disse lui.- A sapere cosa?- Se ridevo buttare da quella parte.La rubia Ferreira lo prese per mano e lo portò fino al posto in cuiavevano lasciato le biciclette.- In questa vita non si sa mai chi inganna e chi è ingannato, -disselei.- E se non lo paro? - domando el Gato.- Allora vuol dire che non mi vuoi bene, -rispose la rubia, etornarono in paese.La domenica del rigore partirono dal circolo venti camion carichi digente, ma la polizia li bloccò all’ingresso del paese e dovetterofermarsi accanto alla strada, ad aspettare sotto il sole. A quei tempie in quel posto non c’erano né televisori né stazioni radio né qualchealtro mezzo per seguire cosa succedeva su un campo chiuso, così quellidell’Estrella Polar predisposero una specie di staffetta tra lo stadioe la strada.Il garzone del ciclista salì su un tetto da dove si vedeva la porta diGato Dìaz e da lì avrebbe raccontato quello che vedeva a un altroragazzo che stava sul marciapiede e che a sua volta lo avrebberiferito a un altro che stava a venti metri e così via finché ogniparticolare sarebbe arrivato al punto in cui aspettavano i tifosidell’Estrella Polar.Alle tre del pomeriggio le due squadre scesero in campo vestite comese dovessero giocare una vera partita. Herminio Silva aveva la divisanera, scolorita ma in ordine quando tutti furono schierati acentrocampo andò dritto verso el Colo Rivero che gli aveva dato ilpugno la domenica prima e lo espulse. Non era ancora stato inventatoil cartellino rosso e Herminio indicava la bocca del tunnel con manoferma da cui pendeva il fischietto. Alla fine, la polizia portò via aspintoni el Colo che sarebbe voluto rimanere a vedere il rigore.Allora l’arbitro andò fino alla porta con la palla stretta contro unfianco, contò dodici passi e la sistemò a terra. El Gato Dìaz si erapettinato con la brillantina e la testa gli risplendeva come unapentola di alluminio.Noi lo osservavamo appoggiati contro il muretto che circondava ilcampo, proprio dietro la porta, e quando si dispose sulla riga dicalce e prese a strofinarsi le mani nude cominciammo a scommettere suquale lato avrebbe scelto Constante Gauna.Lungo la strada avevano interrotto la circolazione e tutti aspettavanoquell’istante perché erano dieci anni che il Deportivo Belgrano nonperdeva una coppa né un campionato. Anche i poliziotti volevanosapere, e così lasciarono che la catena di staffette si dislocasselungo tre chilometri e le notizie correvano di bocca ritmate dallecontrazioni del fiatone.Alle tre e mezza, quando Herminio Silva ebbe ottenuto che i dirigentidelle due squadre, gli allenatori e le forze vive del popoloabbandonassero il campo, Constante Gauna si avvicinò per sistemare lapalla. Era magro e muscoloso e aveva le sopracciglia tanto folte chela faccia ne sembrava tagliata in due. Aveva tirato tante volte quelrigore - raccontò poi - che lo avrebbe rifatto in ogni momento dellasua vita, sveglio o addormentato.Alle quattro meno un quarto, Herminio Silva si dispose a metà stradatra la porta e il pallone, portò il fischietto alla bocca e soffiò contutte le sue forze. Era così nervoso e il sole gli aveva tantomartellato sulla nuca che quando il pallone partì in direzione dellaporta sentì gli occhi rovesciarglisi all’indietro e cadde di spalleschiumando dalla bocca. Dìaz fece un passo in avanti e si buttò sulladestra. Il pallone partì roteando su se stesso verso il centro dellaporta e Constante Gauna indovinò subito che le gambe del Gato Dìazsarebbero riuscite a deviarlo di lato. El Gato pensò al ballo dellasera, alla gloria tardiva, al fatto che qualcuno sarebbe dovutoaccorrere per mettere in corner il pallone che era rimasto a rotolarein area.El petiso Mirabelli arrivò per primo e la mise fuori, contro la retemetallica, ma Herminio Silva non poteva vederlo perché stava a terra,si rotolava in preda a un attacco di epilessia. Quando tuttal’Estrella Polar si rovesciò sopra al Gato Dìaz per festeggiare, ilguardalinee corse verso Herminio Silva con la bandierina alzata e dalmuretto su cui eravamo seduti lo sentimmo gridare : “Non vale! Nonvale!”La notizia corse di bocca in bocca, gioiosa. La respinta del Gato e losvenimento dell’arbitro. A quel punto sulla strada tutti aprironodamigiane di vino e cominciarono a festeggiare, sebbene il “non vale”continuasse ad arrivare balbettato dai messaggeri con una smorfiaattonita.Fino a quando Herminio Silva non si fu rimesso in piedi, sconvoltodall’attacco, non arrivò la risposta definitiva. Come prima cosa vollesapere “che è successo” e quando glielo raccontarono scosse la testa edisse che bisognava tirare di nuovo perché lui non era stato presentee il regolamento prescrive che la partita non si possa giocare con unarbitro svenuto. Allora el Gato Dìaz allontanò quelli che volevanopestare il venditore di biglietti della lotteria al Deportivo Belgranoe disse che bisognava sbrigarsi perché la sera aveva un appuntamento euna promessa e andò di nuovo a mettersi in porta.Constante Gauna non doveva avere molta fiducia in se stesso perchépropose a Padìn di tirare e solo dopo andò vero la palla mentre ilguardalinee aiutava Herminio a stare in piedi. Fuori si sentivanostrombazzamenti festosi dei tifosi del Deportivo Belgrano e igiocatori dell’Estrella Polar cominciarono a ritirarsi dal campocircondati dalla polizia.Il tiro arrivò a sinistra e el Gato Dìaz si buttò nella stessadirezione con un’eleganza e una sicurezza che non mostrò mai più.Constante Gauna alzò gli occhi al cielo e cominciò a piangere. Noisaltammo giù dal muretto e andammo a guardare da vicino Dìaz, ilvecchio, che rimirava il pallone che aveva tra le mani come se avesseestratto la pallina vincente alla lotteria.Due anni dopo, quando el Gato era ormai un rudere e io ero ungiovanotto insolente, me lo trovai ancora di fronte, a dodici passi didistanza, e lo vidi immenso, rannicchiato sulla punta dei piedi, conle dita aperte e lunghe. Aveva al dito una fede che non era dellarubia ma della sorella del Colo Rivero, india e vecchia come lui.Evitai di guardarlo negli occhi e cambiai piede; poi tirai disinistro, basso, sapendo che non l’avrebbe parato perché era moltorigido e portava il peso della gloria.Quando andai a prendere il pallone nella porta, si stava rialzandocome un cane bastonato.Bene, ragazzo - mi disse. - Un giorno andrai in giro da queste parti araccontare che hai segnato un goal a Gato Dìaz, ma nessuno ti crederà.

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